Aratro e Coltura Intensiva
L’Aratura, un Gesto Antico che oggi e’ necessario cambiare
L’Aratro e un attrezzo che da secoli accompagna il lavoro dell’uomo: quello di rivoltare la terra. Rivoltare la terra e’ una pratica faticosa e l’aiuto di strumenti che permettano di risparmiare fatica e ottenere raccolti e’ più che comprensibile. Oggi però abbiamo una maggiore consapevolezza e conoscenze adeguate per capire cosa comporta veramente questo rito. Oggi sappiamo che l’aratro non è uno strumento di equilibrio, piuttosto una lama che lacera il suolo, tagliando la sua vita in due.
Il suolo e’ vivo
Perché il suolo è vivo. Più vivo di quanto immaginiamo. Nei primi centimetri di profondità, si muove un mondo brulicante: funghi invisibili che collegano le radici degli alberi, lombrichi che scavano gallerie, batteri che trasformano i residui in nutrimento. Un mondo silenzioso e vitale, fertile in un modo inimmaginabile. I primi centimetri di terra regolano l’umidità e custodiscono i segreti delle loro comunicazioni. Gia’ perche’ e’ ormai chiarito che le piante comunicano, e che i miceli dei funghi (la rete sotterranea dei funghi), sono l’equivalente di un ufficio postale della terra. Più si scende in basso più questo fermento si affievolisce. Il terreno diventa più compatto, meno ossigenato, meno popolato. Finché si arriva a zone dove c’è più roccia che humus.

L’Aratro colpisce in profondità
Quindi cosa succede quando si ara profondamente? Riuscite ad immaginare il lavoro dell’aratro? La parte viva, quella ricca e delicata, viene capovolta. Cio’ significa che finisce sotto, compressa, privata di luce e ossigeno. Al suo posto, in superficie, affiora lo strato povero, quello che non sa trattenere l’acqua, che non nutre, che non conosce i ritmi della decomposizione. Il terreno deve ricominciare tutto da capo. Ma non sempre ci riesce. L’equilibrio e l’armonia sono stati spezzati, e la terra ora e’ ferita.
Per questo dove si pratica l’aratura il terreno si stanca. E quando la terra si stanca, si spacca. Si secca. Si impoverisce. Inizia un lento cammino verso la desertificazione. E allora entra in scena ciò che serve a rimediare, almeno in apparenza: i fertilizzanti chimici, che suppliscono alla vita sotterrata, e i pesticidi, che tengono lontani gli insetti su coltivazioni rese fragili proprio dalla mancanza di biodiversità.
L’Agricoltura Intensiva
L’agricoltura intensiva non può fare a meno di strumenti come l’aratro e prodotti come pesticidi e fertilizzanti. Non per cattiveria, ma per necessità. Se coltivi sempre la stessa pianta, nello stesso campo, senza dare respiro al suolo, il terreno non si rigenera. Non produce più da solo ciò che serve. Le piante da sole non ce la fanno. Non ci sono diverse specie ad aiutarsi. È un ciclo che si autoalimenta: più impoverisci il suolo, più hai bisogno di aiutarlo artificialmente. E ogni aiuto, alla lunga, lo rende ancora più dipendente.
Sarebbe ingiusto non riconoscere che l’agricoltura intensiva ha avuto un ruolo fondamentale nel secolo scorso. Ha permesso di nutrire miliardi di persone, ha reso possibile una crescita che sembrava impensabile. Ma come tutte le rivoluzioni, anche questa è arrivata a un bivio. Oggi non possiamo più fingere di non vedere le conseguenze. Non possiamo più voltare lo sguardo mentre i terreni si svuotano e i fiumi si intossicano. Non possiamo più credere che basti arare, seminare, concimare e raccogliere per sempre, senza mai restituire.
L’Alternativa
C’è una strada diversa. Più lenta, più umile, ma forse più saggia. Una strada che ascolta la terra, che la osserva e la accompagna, invece di domarla. Non è un ritorno al passato, ma un futuro che impara dai suoi errori. Dove la fertilità non si compra, ma si costruisce. Dove le radici crescono in un suolo che respira, e non in uno che sopravvive. Dove l’agricoltura non è solo una questione di quantità, ma anche di qualità, di equilibrio, di rispetto.
La terra non è nostra. Ci ospita, ci nutre, ci tollera. Ma quando smette di parlare, quando si secca e si crepa, quando diventa polvere sotto le nostre macchine, allora dovremmo fermarci e chiederci: che cosa le stiamo chiedendo? E cosa siamo disposti a restituire? Perché esiste una agricoltura che prende ma restituisce. Che osserva i tempi della vita e non quelli di mercato. E’ l’agricoltura organica rigenerativa clicca qui per saperne di più. Essa non e’ semplicemente una tecnica ma un modo di stare al mondo. Non e’ semplice ne’ perfetta, ma rappresenta un passo da cui ripartire.
E ricordiamolo, sempre:
” il futuro inizia da una condivisione”.
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